Il manuale psicodiagnostico, il DSM, giunto da poco alla sua quinta edizione, inserisce tra i disordini alimentari un nuovo insieme di comportamenti che non rientrano all’interno né dell’anoressia né della bulimia. In breve tale disturbo, definito Binge Eating Disorder (dist.da alimentazione incontrollata), è caratterizzato da ricorrenti abbuffate con assenza, però, di condotte compensatorie tipiche della bulimia, come il vomito autoindotto, l’uso di lassativi e diuretici, esercizio fisico eccessivo.
In altre parole, nella bulimia la persona è protagonista di eccessive ingestioni di cibo ma il desiderio di un corpo magro la induce a sentirsi in colpa e a “compensare” l’abbuffata con attività come quelle descritte poc’anzi. Nel Binge Eating Disorder, invece, la persona pur sentendosi spesso in colpa, non cerca di riprendere il controllo sul suo peso corporeo e la tendenza inesorabile sarà quella di ingrassare.
Il cibo ingerito è di solito un insieme di cibi diversi ipercalorici o grassi che la maggior parte delle persone non accosterebbe mai o che non riuscirebbe a mangiare in tale quantità.
INCIDENZA DEL BINGE EATING DISORDER
In Italia il disturbo colpisce dallo 0.7% al 4.6% della popolazione, con una lieve prevalenza del sesso femminile. Queste percentuali salgono se si prendono in considerazione le ragazze tra i 12 e i 25 anni (6%).
EMOZIONI ALLA BASE
L’esperienza principale in queste persone è la perdita del controllo su se stessi e l’estrema difficoltà nel riprenderlo. Gli stati emotivi che spesso scatenano le abbuffate possono essere ansia e depressione, solitudine, stanchezza e rabbia ma anche, in casi più rari, felicità. Il cibo risulta essere quindi una consolazione di fronte ad emozioni spiacevoli.
Infatti, quasi la metà di questi pazienti sono colpiti da depressione. Il disturbo è spesso associato anche a ansia, panico e a disturbi di personalità di tipo borderline, caratterizzati da instabilità dell’umore, senso di vuoto e di rabbia, paura dell’abbandono e impulsività, o di tipo evitante, in cui predominano l’inibizione sociale, il senso di inadeguatezza, l’ipersensibilità alle critiche e il timore delle situazioni nei quali si è al centro dell’attenzione.
Molteplici sono i fattori di rischio che favoriscono l’insorgenza e mantengono i sintomi nel tempo:
- Bassa autostima
- Sentimenti di inadeguatezza (non sentirsi mai bene con se stessi e con li altri)
- Impulsività
- Vulnerabilità emotiva (arrabbiarsi e impaurirsi con facilità)
- Abusi fisici
- Affettività carente in famiglia
- Vittima di bullismo.
Il cibo viene usato quindi come anestetico per non percepire le emozioni negative. Il sintomo alimentare è controllabile; la sua eliminazione, però, se non accompagnata dall’elaborazione di nuove strategie emotive e di pensiero, può lasciare la persona priva di difese nei confronti dei nuclei di sofferenza, favorendo così le ricadute del disturbo.
STRATEGIE DI CURA
Gli obiettivi terapeutici possono avere come obiettivo l’astinenza dalle abbuffate e la perdita di peso, ma è altrettanto importante anche una ristrutturazione cognitiva, ovvero aiutare il paziente a modificare il modo in cui vede se stesso, gli altri e il mondo, rinforzando nel contempo l’autostima. Inoltre bisogna fornire ai pazienti un’educazione alimentare che hanno oramai perduto ristabilendo una regolare suddivisione dei pasti nell’arco della giornata.
La dott.ssa Todisco e il dott. Vinai hanno elaborato alcune domande inserite in un’intervista, di seguito ve ne riporto alcune:
A cura della dott.ssa Eleonora Rinaldi
Tratto da “La fame infinita” di Francesco Cro, Mente&Cervello, n°105, anno XI, sett.2013